CGIL CAMPANIA, LA RIVOLUZIONE DI TAVELLA: “VENDERE GLI IMMOBILI PER RIFORMARE IL SINDACATO”

“Sì, è vero. Siamo dell’idea di vendere il palazzo di via Torino e anche altri beni che appartengono alla lunga storia della Camera del Lavoro di Napoli e alla Cgil Campania, e quindi anche al sacrificio di tanti lavoratori. Si tratta di decisioni da formalizzare. Ma, sia chiaro, non vendiamo per fare cassa. Non vendiamo per fare un’operazione finanziaria. Ma, al di là di difficoltà economiche che sarebbe stupido negare, lo facciamo essenzialmente per rileggere il sociale e il mondo del lavoro con tutte le modificazioni avvenute e mettere a punto l’obiettivo di un nuovo e più diffuso radicamento del sindacato sul territorio”.
Franco Tavella, segretario regionale Cgil, conferma il piano rivelato da Repubblica. Non solo tagli, dismissioni, ma anche e soprattutto “rifondazione”. Una stagione che non sarà indolore. “Ma che guideremo con il massimo rispetto”, premette Tavella. Che traccia la sua “sfida: occorre essere avanguardia di battaglia meridionalista”. Cita Pietro Nenni: “Il suo motto “Innovare o perire” ora è più che mai attuale”. Ed evoca il ritorno a Di Vittorio: “Quest’estate ci ha ricordato che si muore, da donne italiane, per le condizioni disumane in cui si è braccianti agricole”.
La Cgil deve cambiare. Non solo in Campania. Non solo a partire dall’alienazione di quell’indirizzo storico, il grattacielo di dieci piani, al 16 di via Torino, che sarà messo in vendita. Strategia da perseguire, su un versante, con un piano di snellimento e spending review;  sull’altro, con un autentico investimento sulle priorità, i nuovi bisogni, le nuove emergenze sociali.
Franco Tavella, segretario regionale Cgil: con quale parola d’ordine darete il via a questo passaggio cruciale?
“Rispetto e impegno. Io lo farò con lo stato d’animo di chi percepisce che il sindacato, non solo quello campano ma italiano, deve essere impegnato in un’operazione di re-insediamento territoriale, e di innovazione. Mi verrebbe da dire: persino di rifondazione. Fronteggiando le difficoltà anche economiche che ci sono innanzi, e che nascondere o annullare sarebbe un atto di grande ipocrisia e persino di irresponsabiltà politica Questa per me è l’idea di un sindacato moderno”.
Quanti beni, più o meno, finiranno sul mercato?
“Intanto, mi lasci ribadire che le possibili alienazioni non sono destinate a fare un’operazione finanziaria, e che la decisione dovrà essere formalizzata prima in un prossimo comitato direttivo, e poi nella Conferenza nazionale. In ogni caso, a bbiamo proprietà della Camera di Lavoro Napoli a Pozzuoli, a Pomigliano; avevamo a Poggioreale un altro edificio che abbiamo messo in vendita. Abbiamo un patrimonio importante, grazie a Dio costruito con il contributo di tanti lavoratori e dirigenti sindacali. Ma proprio perché penso che quella storia debba continuare, dobbiamo ri-pensare a un nostro nuovo radicamento. Per dirlo con una battuta: dobbiamo uscire dai palazzi, non essere attaccati ai palazzi” .
Lei sa che non sarà una stagione indolore, vero? Si sente già l’eco di una sana ma tesa dialettica interna.
“Io mi assumo la responsabilità di un dibattito interno, che potrà essere ricco e anche teso. Ma penso che sarebbe folle se un sindacato, chiamato a leggere e a seguire le dinamiche di un lavoro che cambia così velocemente, coltivasse la nostalgica visione di un immobilismo che gli impedirebbe anche di interpretare bisogni ed elaborare risposte. Ecco perché dobbiamo costruire strutture snelle, meno burocratiche, semplificando il numero delle categorie. D’altro canto, com’è stato osservato, nell’epoca delle telecomunicazioni, non c’è bisogno di avere grandi uffici. Basta davvero un portatile, uno smartphone, ognuno si porta dietro un ufficio. È una rivoluzione che ha inciso sulle istituzioni, ha rivoluzionato strutture e modalità della politica, dei partiti, del giornalismo, non vedo perché non dovrebbe valere per il sindacato. Il vecchio Nenni diceva: innovare o perire, è il nostro motto”.
Le categorie da dodici diventeranno la metà?
“Prematuro dirlo adesso. Io immagino grandi aree: una grande dell’Industria, una per i Servizi, un’area del Welfare e pensionanti e una struttura confederale anch’essa snella e di elaborazione e direzione più complessiva delle politiche generali sul lavoro” .
Dipendenti e lavoratori della Cgil, 600 in Campania, chiederanno garanzie.
“Abbiamo lavoratori particolari: persone, cioè, con una storia di militanza, di volontariato e impegno. E questi lavoratori sono certamente i primi interessati ad avere un sindacato più forte. Più radicato e più autorevole”.
Da dove deve ripartire la Cgil per essere avamposto del Mezzogiorno scivolato ai livelli della Grecia?
“Vedo  due sfide. Una costante e quotidiana che riguarda i giovani, nella regione con la più alta percentuale di disoccupazione giovanile. L’altra frontiera è quella che guarda a nuove povertà, migranti, solitudini. Quest’estate ci riporta alle battaglie delle origini, a Di Vittorio: una bracciante è morta in condizioni disumane. È anche da questo che dobbiamo avere l’orgoglio di ripartire per essere avanguardia di una nuova battaglia meridionalista”