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SALERNOECONOMY.IT. FISCO ALLA TORINESE PER ATTIRARE INVESTIMENTI

Il tema di fondo – strettamente connesso all’emergenza occupazionale – è la riattivazione degli investimenti pubblici e privati. Tutte le analisi confermano che gli effetti  della varie manovre governative di tipo restrittivo che si sono succedute a partire dal 2011 (Governo Monti) hanno avuto “conseguenze” maggiori nel Mezzogiorno che in altre parti d’Italia.
Non è un caso che da Mario Draghi in giù venga richiamata sempre di più l’attenzione sull’esigenza inderogabile di stimolare la domanda aggregata. Il punto, quindi, è sinteticamente questo: da che parte cominciare? Avere un’idea chiara su questa cruciale materia sarebbe già un sostanziale passo in avanti. Se si escludono i fondi europei (e qui il Governo Renzi  già ha fatto capire bene come la pensa ai cittadini del Sud riducendo  la quota di cofinanziamento statale inerente il ciclo 2014-2020), è chiaro che bisogna concentrarsi sui capitali privati. Tenendo bene conto del fatto che in giro per il mondo – non solo per l’Italia – si muovono decine di miliardi di dollari (e di euro) in cerca di buone occasioni. Evidente, quindi, l’esigenza di iniziare a porsi il problema di diventare una “buona occasione” per quanti hanno il problema di fare fruttare le ingenti masse di liquidità che gestiscono in proprio o per conto terzi. Naturalmente, diventare una “buona occasione” dal punto di vista strutturale o infrastrutturale non è questione che si possa risolvere in poco tempo: da questo punto di vista occorrerebbe avere la lungimiranza di avviare un piano di politica industriale nazionale ed all’interno di questo strumento stabilire le priorità produttive regionali. Un fatto abbastanza complesso in un Paese come l’Italia ed in Regioni (intese come Istituzioni) come quelle che si ritrova il Mezzogiorno. L’unica “leva” più rapida (ma molto efficace) che si potrebbe attivare è senza dubbio quella della fiscalità locale, agganciandola, però, in maniera organica ad un progetto strategico delle singole comunità produttive.
Se si pensa che anche un agglomerato manifatturiero come Torino – attraverso le dichiarazioni del sindaco Piero Fassino – ha preannunciato che percorrerà questa strada, appare sensato iniziare a ragionare anche da queste parti (dove le aree produttive sono un po’ meno ampie e competitive di quelle del capoluogo piemontese) di piani industriali di livello almeno provinciale che prevedano tra i fattori incentivanti proprio il vantaggio fiscale. In quali forme più precisamente? La “ricetta” torinese – che al momento si configura solo in alcune anticipazioni – si basa su alcune directory prioritarie. “Ad esempio – ha dichiarato Fassino alcuni giorni fa al “Sole 24 Ore”  – attraverso una riduzione degli oneri di urbanizzazione” che si versano nelle casse comunali da parte di chi decide di localizzare uno stabilimento sul territorio di competenza di quello specifico Ente Locale. Ma a Torino pensano anche ad uno “sconto fiscale”. “Magari – ha spiegato sempre Fassino – sotto forma di un’esenzione sulla Tari o sulla Tasi, per un determinato periodo di tempo, per le aziende che grazie a precisi programmi di investimento creino nuovi posti o opportunità di lavoro”.
Il problema vero è, però, individuare un chiaro disegno di sviluppo non solo industriale in senso stretto – ma anche incentrato su altri asset importanti identificabili in provincia di Salerno: turismo, commercio, agricoltura, artigianato artistico e di qualità – che tenga insieme l’esigenza di ridurre la pressione fiscale sia per nuovi insediamenti/attività, che per quelle aziende già operative che stanno resistendo senza tagliare posti di lavoro in questo difficile momento di crisi. Non sarebbe proprio il caso, insomma, di creare disparità di trattamento tra nuovi e “vecchi” imprenditori.
Rendere attrattivo un territorio significa, però, prima di tutto mettersi d’accordo sulla configurazione di un’identità produttiva fortemente condivisa (e già questo primo passaggio rappresenta un’impresa nel senso dell’eccezionalità dell’obiettivo da raggiungere in provincia di Salerno). Una volta superato questo ostacolo diventerebbe più facile delineare la mappa concreta dello “sconto” fiscale da riservare a quanti decidono di immettere nuova liquidità concorrendo alla creazione di occasioni di lavoro. Manca ancora, però, il tassello determinante: l’omogeneità dei comportamenti degli amministratori locali spesso accecati da una miope lotta micro/feudale. Non è con le “guerriglie” tra piccole aree riservate agli insediamenti produttivi che si possono ottenere risultati importanti in termini di Pil, reddito e posti di lavoro. Soltanto con un disegno concreto per lo sviluppo in area vasta – e con una visione effettivamente ampia – si può giungere alla creazione di una vera e propria leva attrattiva (o incentivante per nuovi investimenti da parte delle aziende già insediate) efficace e potenzialmente forte in termini di risultati raggiungibili. In questa direzione si è già mossa nei mesi scorsi – in maniera lucida e lungimirante – una parte importante del mondo della rappresentanza produttiva, ma, naturalmente, non può bastare senza il reale (indispensabile) accompagnamento istituzionale e politico.
Sorge, infine, un dubbio “legittimo”: ma in piena campagna elettorale per le regionali del 2015 come è possibile sperare di mettere tra parentesi particolarismi, leaderismi ed il resto dell’armamentario demagogico/peronista che caratterizzano una regione ed una provincia praticamente immobili da decenni?
ERNESTO PAPPALARDO