CAPACCIO PAESTUM. LA CRISI POLITICA DI PAOLINO, ASSESSORI ANCORATI ALLE POLTRONE

La seduta sulla mozione di sfiducia ha segnato in modo definitivo la frattura politica di Capaccio Paestum. Gaetano Paolino è rimasto formalmente in carica, ma politicamente è nudo: la sua maggioranza non esiste più, e la città lo sa. Non è stato un voto qualunque, non è stata una seduta come le altre; è stato il momento in cui le crepe, fino ad allora sottotraccia, si sono trasformate in un crollo visibile a tutti.

I firmatari della mozione – Angelo Quaglia, Antonio Agresti, Igor Ciliberti, Maria Rosaria Giuliano, Antonio Mastrandrea, Gianmarco Scairati ed Eustachio Voza – non rappresentano un’opposizione storica, bensì la stessa squadra che aveva permesso a Paolino di diventare sindaco. A loro si è aggiunta Simona Corradino, che ha votato a favore del documento. La loro scelta racconta più di mille analisi: la rottura nasce dentro il perimetro politico che aveva sostenuto questa amministrazione. Una ribellione interna, motivata da ciò che molti di loro hanno letto come un metodo di governo chiuso, accentrato, incapace di valorizzare la pluralità che aveva contribuito alla vittoria elettorale. La composizione della giunta, le decisioni prese senza confronto, la sensazione di essere stati relegati a comparse: un malessere che si è trasformato in gesto politico.

Di fronte a questa frattura, tre consiglieri – Adele Renna, Pamela Volpe e Luca Sabatella – hanno invece votato contro la sfiducia, diventando di fatto l’ultimo baluardo rimasto a Paolino. Una scelta che ha attirato attenzione e interrogativi: cosa ha spinto questi tre a difendere un sindaco ormai abbandonato dal suo stesso fronte originario? Nessuna spiegazione chiara è stata offerta in aula, e questo silenzio non ha fatto altro che alimentare dubbi e sospetti, più sulla dinamica politica che sulle persone.

Ma il passaggio più discusso è arrivato dall’opposizione. Perché nel momento decisivo, quello in cui si sarebbe potuto chiudere un ciclo amministrativo giunto al tramonto, gran parte dell’opposizione ha scelto di astenersi. Marianna Ruggiero, Luigi Gino Delli Priscoli, Domenico De Riso, Carmine Caramante e Fernando Maria Mucciolo hanno preferito non esprimere né un sì né un no. Le loro astensioni hanno salvato Paolino, impedendo alla mozione di raggiungere i numeri necessari. Una scelta che ha spiazzato molti cittadini: per mesi, questi stessi consiglieri avevano criticato duramente l’amministrazione, alzando toni e contestazioni, eppure al momento decisivo hanno evitato di assumersi la responsabilità di determinare la caduta del sindaco.

Tra questi, Carmine Caramante è stato forse il caso più emblematico. In passato, pubblicamente e senza mezzi termini, aveva definito Paolino – con un’espressione particolarmente dura – “cap’e lignam”, cioè “testa di legno”, dipingendolo come una figura politicamente manovrabile e, nelle sue parole, “creatura di Franco Alfieri”. Una critica aspra, personale, tipica del confronto politico acceso che ha caratterizzato gli ultimi anni. Ma arrivati al voto, l’oppositore più tagliente ha preferito astenersi, contribuendo di fatto a far sopravvivere proprio quel sindaco che aveva duramente attaccato. Una contraddizione evidente, che ha lasciato molti perplessi: come si passa da una definizione tanto netta a un gesto che permette al sindaco di restare al suo posto?

Il risultato complessivo è stato un paradosso politico: sette membri della maggioranza contro il sindaco, tre membri della maggioranza a sostenerlo, e un’opposizione che, pur avendo il potere di determinarne la caduta, lo lascia in piedi proprio grazie alla propria indecisione strategica. Capaccio Paestum esce da questo passaggio con un sindaco che non ha più numeri, non ha più un blocco politico reale alle spalle e potrà governare solo inseguendo voti occasionali, convergenze momentanee, accordi senza struttura. Ogni decisione, da qui in avanti, sarà una battaglia per la sopravvivenza più che un vero atto amministrativo.

E mentre il palazzo della politica gioca la sua partita, la città resta sospesa. Un sindaco senza maggioranza non può garantire stabilità, una maggioranza divisa non può assicurare continuità, un’opposizione che predica fermezza e poi si nasconde dietro un’astensione non può offrire alternative credibili. In mezzo, c’è una comunità che vede la propria amministrazione ridursi a un equilibrio artificiale, sostenuto più dalla paura di ricominciare che da un progetto condiviso.

Il nodo centrale resta irrisolto: perché Paolino insiste a governare in queste condizioni? Perché un sindaco che la sua stessa squadra ha sfiduciato moralmente sceglie di restare, nonostante l’evidente impossibilità di guidare con autorevolezza? La sua permanenza non appare come un atto di responsabilità, ma come una volontà di difendere la poltrona a ogni costo, forse nella speranza di riallacciare fili politici ormai spezzati o di garantire equilibri che non possono essere dichiarati apertamente.

Un elemento che rende questo quadro ancora più paradossale riguarda la Giunta, che – nonostante la frattura politica ormai conclamata e l’evidente venir meno della legittimazione politica – non ha ritenuto di fare un passo indietro. Nessuna assunzione di responsabilità, nessun gesto coerente con la gravità del momento: gli assessori sono rimasti saldati alle proprie poltrone, come se nulla fosse accaduto, mentre attorno a loro l’impalcatura politica dell’amministrazione crollava pezzo dopo pezzo. Una scelta che molti cittadini hanno letto come l’ennesima conferma di un attaccamento alle posizioni più forte del rispetto per la crisi istituzionale in atto.

Capaccio Paestum merita un governo stabile, non un’amministrazione appesa a un voto alla volta. Merita una direzione politica chiara, non una sopravvivenza costruita sulle astensioni. Merita verità, coerenza, coraggio.