Silvio Berlusconi

BERLUSCONI CONDANNATO O ASSOLTO ? SCATTA IL CONTO ALLA ROVESCIA

Non è solo questione di giurisprudenza e di ragion di Stato, di diritto e di politica. Alla fine Berlusconi spera di cavarsela grazie anche al «fattore c». Perché la fortuna serve, in tutti i campi, tanto che ieri l’argomento è stato servito alla tavola rotonda del Cavaliere, per sostituire il solito menù a base di codici. D’altronde negli ultimi tempi il leader del Pdl ha spesso evidenziato nelle discussioni una insopprimibile esigenza di cambiar discorso, per evadere dalla stressante attesa del verdetto della Cassazione e per trovare nei suoi trascorsi vincenti un appiglio positivo. Certo, evocare la buona sorte per vicende passate è – inconsciamente – una sorta di consuntivo, di fine bilancio. 

Ma i commensali l’hanno assecondato, ripescando dal passato un evento in cui il «fattore c» è stato senza dubbio un decisivo fattore di svolta. Senza l’aiuto della dea bendata, infatti, probabilmente non ci sarebbe stata l’epopea rossonera, quella che ha portato Berlusconi a diventare il presidente della società di calcio più titolata al mondo. Se a Belgrado non fosse calata una fitta nebbia la sera del 9 novembre 1988, il Milan – sotto nel punteggio e inferiorità numerica a mezz’ora dalla fine – sarebbe stato eliminato dalla Stella Rossa in Coppa dei Campioni. L’assenza di visibilità mutò il corso degli eventi, perché costrinse l’arbitro a sospendere il match. E il giorno seguente – quando venne rigiocata la partita – il risultato consentì al Milan di passare il turno e di vincere il torneo.

 

Quel ricordo ha imposto la fortuna (definita in termini prosaici durante il pranzo) come elemento da tenere in debito conto nella valutazione che oggi farà la Corte. O quantomeno è stato questo il divertito convincimento di chi, a tavola, ha cercato insieme a Berlusconi di esorcizzare il giorno del giudizio e la sentenza. Chissà come l’avrebbe presa il professor Coppi, che in quelle stesse ore si preparava alla difesa in Cassazione. Di sicuro l’ha presa male quando ha saputo che altri stavano preparando per l’indomani una manifestazione di sostegno al Cavaliere davanti palazzo Grazioli.

E poco importa quali siano state le argomentazioni del suo cliente, se è vero che ha fatto finta di cadere dalle nuvole, sebbene sapesse tutto. L’avvocato ha urlato che «non esiste» e Berlusconi – che avrebbe tanto desiderato consolare il proprio ego – ha dovuto assoggettarsi ai voleri del legale, l’unico che oggi riesce a gestire (faticosamente) il Cavaliere. Perché il leader del Pdl – sperando di cavarsela – può anche confidare nel «fattore c», ma un conto è immaginare la riedizione della partita di Belgrado, altra cosa è pensare di farla franca con l’espediente di Marsiglia, dove il suo Milan – sempre in Coppa dei Campioni – cercò ignominiosamente di sfruttare la rottura di un riflettore dello stadio per evitare la sconfitta sul campo. Con Coppi in panchina «non esiste», appunto.

Così a Berlusconi non è rimasto che far ritirare striscioni e claque, per aspettare il risultato di oggi. Nel frattempo la vecchia guardia aveva già lasciato la tavola rotonda del Cavaliere, da ore Confalonieri (a pranzo insieme a Gianni Letta) si era congedato dal leader del Pdl, forzandosi a ridere e a pensare positivo. Un modo anche per contrastare il clima funereo che sta ammorbando l’aria dell’amico di una vita, quella sequenza interminabile di telefonate dei pidiellini che sanno di condoglianze preventive, e a cui scaramanticamente il capo risponde dall’altro capo del telefono toccando ferro e facendo le corna: «State tranquilli, sono tranquillo. Al massimo, vorrà dire che presiederò le riunioni di partito dagli arresti domiciliari. Condannato o assolto, per me non cambia nulla». 
Ecco, è sul «non cambia nulla» che in molti dubitano. Lo s’intuisce dal volto segnato dei ministri berlusconiani, dall’opinione – per una volta unanime nel Pdl – che una sentenza avversa non potrà essere politicamente gestita. Non solo perché non sono prevedibili le reazioni del Cavaliere, che pure fa sfoggio di saggezza patriottica, ma perché non sono nemmeno governabili le sette tribù democratiche, sette correnti già sul piede di guerra per il prossimo congresso del Pd. Perciò, pur di aggrapparsi a qualcosa, persino il premier (tifoso milanista) si è messo a confidare anche sul «fattore c». Ma siccome in serata i rossoneri ne hanno presi 5 dal Manchester City, tra i suoi ministri c’è chi ha preferito appellarsi ai santi. Il più citato è San Giorgio.

 

TRATTO DA corriere.it 

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