IL FATTO QUOTIDIANO: A LORENZO GUERINI IL COMPITO DI RICONQUISTARE BERLUSCONI

Con i soprannomi hanno esagerato. “Arnaldo”. Gianni Letta 3.0.Giuliano Amato, nel senso di vice di Craxi. Del resto tutti lo raccontano così: pompiere in casa, pontiere fuori. E’ l’uomo dei numeri (in Parlamento) e il custode del partito. Negoziatore (vincente) di nuove regole per le primarie più aperte, cerimoniere della “profonda sintonia” con Berlusconi al Nazareno, regista dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale.

 

Ora Lorenzo Guerini, l’anima bianca di Matteo Renzi, l’esecutore delle volontà del capo, si è rimesso al lavoro. Si è preso la responsabilità di riavviare i motori di un accordo che sembrava essere stato sepolto più volte, si è rimesso a fare il Frankenstein per rianimare un’intesa che è cenere anche se tutti dicono che sotto c’è fuoco che cova. Un nuovo accordo su quelle riforme per le quali Brunetta – per dire – nei mesi è riuscito a evocare perfino il “bivacco di manipoli” e a dire che “il governo violenta lo Stato”, cose così. Ma Guerini è la cimosa che pulisce tutto: il Patto del Nazareno, la rottura improvvisa, le parole brutte. “Siamo pazienti e attendiamo” dice a Berlusconi. E, in attesa di un possibile incontro tra Renzi e l’ex Cavaliere a settembre, ci crede.

Quell’accordo serve più di quella volta che Guerini mise la propria faccia sul “patto col diavolo“: nelle foto rubate all’interno della sede del Pd, al Nazareno, si vede lui – non Renzi – che accompagna il “peggior nemico” della sinistra per vent’anni. E ora tocca ricominciare, l’intesa serve più di quel 18 gennaio 2014. C’è la minoranza Pd che toglie ossigeno al Senato. Così riecco l’uomo dei numeri, nel senso del pallottoliere, perché, sì va bene, i verdiniani, ma vatti a fidare.

Democristiano più nel dna che come storia personale, raccontano tra l’altro che il presidente del Consiglio – che già lo sfotte paragonandolo a Forlani – gli fa la parodia, tentando di riprodurre l’accento lombardo: “Dobbiamo trovare un’intesa…”. A chi, una volta, gli ha chiesto chi è stato il politico più capace ha risposto sorridendo Giulio Andreotti: non certo per i decenni di ombre, piuttosto per come stava dentro il partito e dentro le istituzioni. Venticinque anni senza cadere, combattendo senza quasi salire sul ring. C’è chi, nel partito, nega, ma l’etichetta gliel’ha data di nuovo pochi giorni fa – da ultimo – uno che di Divo se ne intende, Paolo Cirino Pomicino: “Sono sconcertato per questa riforma costituzionale. E indignato con i miei amici democristiani, ma anche socialisti e liberali – ha detto l’ex ministro a Repubblica – Come lo chiama, un sistema cosi? Au-to-ri-ta-rio. E’ la morte della democrazia politica”. Il richiamo quasi straziante di Pomicino ai “suoi amici” non avrà effetti: quando il Vicerè ha finito di fare il ministro del Bilancio, Guerini stava appena cominciando a fare il consigliere comunale a centinaia di chilometri. “Quella” Dc – che di lì a poco si sarebbe sciolta sotto il peso di Tangentopoli – l’ha conosciuta solo da lontano. Alla politica nazionale è arrivato tempo dopo, come portavoce del Renzi rottamatore.

 

tratto da ilfattoquotidiano.it