Oltre al vecchio e al nuovo conta il vero.
Per questo, almeno per il momento, il dibattito tra Renzi e quelli che sostengono Bersani non mi appassiona.
Il paese, da tempo sull’orlo di una crisi di nervi, è oggi alle prese, specialmente al sud, con il rischio di una guerra civile.
Disoccupazione di massa, recessione, violenza sono il pane quotidiano sono delle nostre “ossessioni”; sono quello che “accade”.
Per questo l’epicentro non è il PD, ma è il PAESE.
Per questo, dal mio punto di vista (che è sociale e civile e, per questo, politico), non considero le primarie (almeno per ora) una cosa seria: più un rischio che un’opportunità.
Dal mio punto di vista, in piena crisi, con mille problemi sul tavolo (trasporti, sanità, rifiuti…), con un PDL che ha il bancomat della Regione e della Provincia, noi dovremmo organizzare luoghi e sedi per “rottamatori” e “antirottamatori”.
Non mi sfuggono le motivazioni, tutte quante legittime per carità, ma davvero stento a capire perché una discussione congressuale diventa primarie, in assenza di un minimo di scenario: non dico le alleanze (troppa grazia…), ma almeno la legge elettorale!
Siamo andati in vacanza alleati di Casini e siamo tornati dalle ferie alleati di Vendola che organizza il referendum.
Per quelli di noi che pensano che per costruire un blocco di consenso che vuole governare ci vogliono entrambi, questo ripiegamento a sinistra suona sbagliato.
Le primarie. Il vecchio e il simil nuovo.
E il vero dov’è?
Il cambiamento possibile, una proposta che non parli del rinnovamento fatto per slogan ma nemmeno di un simbolismo burocratico lontano dal paese reale, dalla gente, dalla vita.
Dobbiamo dire qualcosa di vero e, percio’ di nuovo, sulla riforma del voto, sul sud, sul rinnovamento dei gruppi dirigenti: non sull’anagrafe, ma sulla verità, sulla concretezza, su chi lavora ogni giorno per cambiare, non per effetto di una strategia di marketing o perché “il partito è il partito”.
Il punto non è chi vince nel PD, ma chi cambia l’Italia.