Aniello Salzano

QUELLA DI CALDORO NON E’ UNA “CIAMBOTTA”

Aniello SalzanoIl fondo di domenica del prof. Macry (Il Consociativismo modello Caldoro – Proposta indecente)  mi spinge ad intervenire per una  modesta riflessione: il tema sollevato lo merita senz’altro.

Egli ha dichiarato che il “consociativismo modello Caldoro” risulta “una proposta temeraria, forse indecente”. E conclude affermando che “sarebbe complicato spiegare alla gente comune la logica di certe geometrie, che appaiono riesumate dal secolo scorso”. Qualche approfondimento, invece, va proposto.

Da un po’ di tempo in qua sempre più spesso si ricorre al termine “consociativismo”, per evocare un’esperienza politica odiosa, per delegittimarla sul nascere, marchiandola d’infamia.

Dunque si parla di consociativismo ma si confondono le cose. Ritengo che esistano due piani ben distinti da analizzare.

La storia del nostro Paese ha conosciuto un consociativismo di alto profilo, ricco di contenuti, che ci ha condotti a diventare, dopo le macerie della guerra, una fra le Nazioni a più alta diffusione di benessere. Era l’epoca dei grandi ideali, prima ancora delle ideologie, pur fortemente presenti. Era consociativismo anche quello posto alla base dei lavori della Costituente, quando i Partiti di massa fecero un patto, alla luce del sole e nelle sedi competenti, per temperare le diverse ideologie in una sintesi che tenesse conto dei supremi interessi del Paese.

Smarriti gli ideali, svanite le ideologie, abbiamo poi conosciuto, per meglio dire patito, un diverso tipo di consociativismo. Quello disadorno, avvilente, un consociativismo della materia, di basso profilo, teso non alla mediazione fra orientamenti diversi in vista degli interessi generali, ma alla spartizione, all’occupazione sistematica della società e delle Istituzioni. E questo non è consociativismo: è la sua negazione, la sua degenerazione. Il consociativismo negativo, deteriore è fatto di accordi clandestini, sottobanco, consumati spesso fuori dalle sedi proprie, con l’opinione pubblica lasciata fuori la porta.

La svolta evocata da Caldoro mi sembra che non abbia invece niente a che vedere con questo tipo di consociativismo. La svolta di cui parla Caldoro potrebbe nascere su un accordo alla luce del sole, nelle sedi istituzionali, con dibattiti pubblici che informano puntualmente i cittadini, che non vengono relegati sull’uscio ad origliare. Per rispondere allo sfascio istituzionale, all’incancrenirsi dei problemi, alla domanda di chiarezza ed efficienza che sale dalle nostre città, per uscire dalla crisi, per fare proposte capaci di incidere sulla vita delle persone, serve la consapevolezza di vivere una fase storica difficilissima e che quindi occorre una svolta: la collaborazione feconda di tutti, il confronto e il dialogo con tutte le forze politiche e sociali, un bisogno di cambiamento. Non mi sembra un ribaltone né è consociativismo: è, invece, quell’obiettivo “ambizioso” che la Campania deve perseguire per le “strategie alte e i grandi progetti” che la facciano uscire dalla gravissima crisi. Mi sembra, dunque, ingiusto rovesciare addosso a Caldoro l’accusa immeritata di consociativismo, dando al termine l’accezione peggiore.

 

Aniello Salzano

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